sabato 17 agosto 2013

LA REPUBBLICA DEGLI SPAGHETTI



Fin’ora, soprattutto per irridere la nostra classe politica, espressione spesso di veri e propri personaggi da avanspettacolo, abbiamo usato l’abusatissimo REPUBBLICA DELLE BANANE per definire l’assetto istituzionale del Belpaese.
In ogni cosa però c’è un “però”; e il “però” di questa volta è che le banane le hanno usate per insultare un ministro della nostra repubblica sotto intendendo, con il loro lancio verso la sua persona, che provenire da un paese che, forse, produce banane è indice di minorità.
Questo episodio, che squalifica ancora di più le orde barbariche “gemoniensis”, ci costa un declassamento, sulla falsariga di quelli operati dalle agenzie di rating, per cui ci siamo pienamente meritati il posizionamento nella classe delle repubbliche degli spaghetti. Cosa comporta ciò? Ebbene, la perdita della classe di merito, da “banane” a “spaghetti” ci restituisce ad una dimensione autarchica, mentre prima potevamo essere confusi con un paese importatore e distributore in tutto il mondo di frutta esotica.
La dimensione spaghettara della nostra repubblica ci riconduce al fu Benito il cui attuale epigono è il Silvio Nazionale.
Benito ne fece di  “scorrerie” prima di approdare al cavalierato, proprio come Silvio che il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana lo ricevette come imprenditore, ma lui, immedesimato nel nuovo ruolo, lo utilizzò, emulo di D’inzeo,  per saltare tutti gli ostacoli che incontrava sulla strada del suo progetto di democrazia repubblicana, basata sulla elargizione di “spaghetti” a go-go a tutti coloro che lo favorirono nella conquista del potere economico prima e di quello politico dopo.
Tutti i miracolati per “spaghetti ricevuti”, sostenuti dal loro parentado sono proni a carponi per impedire che “la caduta” del rais sia proprio rovinosa, proprio come i repubblichini, che non esitarono a sopprimere paesani, conoscenti, amici e, persino, parenti loro avversari politici di ogni età e sesso insieme alle famigerate SS durante la loro ritirata dai fronti di guerra, pur di tenere in piedi il Dux.
Un grand’uomo di alto profilo politico, coordinatore PDL, allerta le Berlutruppen, pronte a immolarsi in un cruento confronto civile se il Silvio Nazionale non viene almeno graziato motu proprio dal Presidente della Repubblica.
Un bass’uomo, anch’esso di alto profilo politico, non più alto del fondoschiena  del suo padrone, perfettamente adatto al ruolo di culumlinguas, piange.
Una popputa pasionaria linguacciuta, membro del Gran Consiglio Ristretto, avverte gli italiani che 200 e più parlamentari sono già virtualmente dimessi, motivo per cui governo e parlamento sono bloccati sino a gratia decretata.
Penso a Bruno De Martino che canterebbe: “E ci chiamano spaghetti...”.
E’ risaputo che in Italia è stato creato il più buon prodotto gastronomico del mondo, gli spaghetti c’’a pummarola ‘n coppa, ma il mondo, ingrato, ne utilizza l’emblema per identificare l’italiano inattendibile, voltagabbana, truffaldino: non colgo l’equazione! Che c’azzecca direbbe il buon Di Pietro!
Ma so che quando con sprezzo ci chiamano spaghetti certo non si riferiscono al piatto universalmente preferito (che ipocriti!) ma forse al loro potere seducente...di cottura al dente in passata di pomodoro che sconcerta le coscienze, obnubila i sensi e i sentimenti e ti fa credere una cosa per l’altra.
In effetti gli italiani non hanno ancora capito cosa vuol dire democrazia o, meglio, democrazia liberale, perché obnubilati dal profumo degli spaghetti (col pomodoro, s’intende) identificano tutte le priorità, tutte le urgenze con gli spaghetti stessi. Come dire, come s’è detto e come usualmente si dice, basta che si magna e tuttu è bonu e benedittu.
Direi, quindi, che la declassazione a Repubblica degli Spaghetti, ce la meritiamo ampiamente perché sottende il popolo dei magna-magna, ovvero quel popolo che, orfano di Benito, c’ha provato ancora con Silvio, che qualunque cosa dicesse in realtà voleva dire: magnate pure, ma fate magnà (e trombà) prima a me!
Molti italiani, forse un terzo dell’elettorato, fanno finta di non vedere le birichinate del loro leader propria in forza di questo semplice ragionamento: lasciar fare per liberamente fare, cioè magna, ma fai magnà!
E’ dai tempi di Benito che certi italiani sfruttano l’occasione. Non a caso i più inossidabili collaboratori del duce furono graziati da amnistia generale e reinseriti mimetizzati nella neonata Repubblica Italiana, mentre i più ondivaghi furono assassinati dai suoi accoliti, come Italo Balbo, Galeazzo e Costanzo Ciano, Pareschi, Gottardi, Cianetti e Marinelli.
In altre parole è dimostrato che non agitarsi troppo fai mangiare e mangi spaghetti anche tu.
Quei seicento, giovani e forti, suppongo quasi tutti parenti e conoscenti dei 200 parlamentari PDL, che stanziati in Via Plebiscito acclamavano a squarciagola il Silvio Nazionale con l’Inno di Mameli fanno tanta tristezza per la miseria intellettuale e intellettiva che li accumunò nel tripudio fideistico allorché Berlusconi affermò: “Sono innocente! Io non mollo”.
Qualunque ragionevole persona, dopo ben tre gradi di giudizio, non può non domandarsi quale serio motivo deve esserci  se decine di magistrati, di varia età, di diverso radicamento territoriale, provenienti da latitudini giudiziarie diverse, decretano che Berlusconi è colpevole del reato ascrittogli.
Confesso di aver creduto all’imprenditore che si fa politico per rivoluzionare l’andazzo tutto italiano rivelato da “Mani Pulite” ma cominciai a dubitare quando il ritornello del complotto comunista divenne il tormentone della fine degli anni novanta che incantava i gonzi.
Ma quando ebbi modo di leggere documenti giudiziari pubblicati dall’editoria quotidiana internazionale cominciai a farmi qualche domanda e poi a mettere in discussione la mia scelta elettorale.
Ovunque Berlusconi ha stanziato si è circondato di fedelissimi cretini, opportunisti, leccaculi, prostitute di mestiere e di tendenza, arruffoni, papponi, criminali, pennivendoli, insomma ciò che maggiormente offre la società civile di ora e allora, gente che per un “piattino di spaghetti” prostituiscono mogli e figli per accontentare il minotauro di Arcore.
Alcuni, dopo anni di militanza nel PCI, alfieri di quel comunismo protoromantico che non ebbe mai inizio, ché approdò subito come spiaggiato in un continente che ne fece strumento di vendette e giustizia sommaria, alcuni di questi militanti da tempo hanno cambiato casacca perché fascinati da questo piccolo-grande uomo che ha le mani impastate nel torbidume di affari sporchi e criminali.
Il suo proposito di combattere il comunismo fa presa perché il signor qualunque pensa a Stalin, Mao, Pol Pot, Castro e compagni, ma ignora Gramsci, Rosselli, Rossi e tanti altri martiri civili che non hanno potuto dimostrare che il Comunismo è un nobile e umanistico concetto di società libera ma regolata da leggi di tutela dell’uomo che aspira alla giustizia e all’equilibrio sociale.
Una società libera e sodale non deve avere poveri da blandire con speranze ultraterrene, non deve avere disoccupati che vogliono lavorare e non trovano lavoro perché o sono troppo giovani o sono troppo vecchi, non deve avere sfrattati che non possono pagare affitti del così detto "mercato libero", donne che si prostituiscono perché incrociano i loro destini con prosseneti sostanzialmente impuniti, preti che encomiabilmente organizzano mense, ricoveri, case di riposo, scuole, pellegrinaggi perché lo Stato è assente.
Uno Stato è l’astratto toponimo di un accordo equo tra cittadini che si assistono vicendevolmente e riconoscono il valore individuale non con il peso della ricchezza accumulata, ma con l’analisi del bene comune apportato.
Tutto ciò per dire che l’anticomunismo viscerale di Berlusconi è il sottoprodotto di un uomo vocato alla violazione delle regole, un uomo che reclama rispetto e rimozione dell' intenzione di comprendere come il figlio di un impiegato di banca abbia potuto diventare uno dei dieci uomini più ricchi d’italia.
Ma ciò è accaduto in una repubblica che per questo e tanti altri motivi oggi non può che chiamarsi REPUBBLICA DEGLI SPAGHETTI!


Nessun commento: