Fin’ora, soprattutto per irridere la nostra classe politica,
espressione spesso di veri e propri personaggi da avanspettacolo, abbiamo usato
l’abusatissimo REPUBBLICA DELLE BANANE per definire l’assetto istituzionale del Belpaese.
In ogni cosa però c’è un “però”; e il “però” di questa volta
è che le banane le hanno usate per insultare un ministro della nostra
repubblica sotto intendendo, con il loro lancio verso la sua persona, che
provenire da un paese che, forse, produce banane è indice di minorità.
Questo episodio, che squalifica ancora di più le orde
barbariche “gemoniensis”, ci costa un declassamento, sulla falsariga di quelli
operati dalle agenzie di rating, per cui ci siamo pienamente meritati il
posizionamento nella classe delle repubbliche degli spaghetti. Cosa comporta
ciò? Ebbene, la perdita della classe di merito, da “banane” a “spaghetti” ci restituisce
ad una dimensione autarchica, mentre prima potevamo essere confusi con un paese
importatore e distributore in tutto il mondo di frutta esotica.
La dimensione spaghettara della nostra repubblica ci
riconduce al fu Benito il cui attuale epigono è il Silvio Nazionale.
Benito ne fece di
“scorrerie” prima di approdare al cavalierato, proprio come Silvio che
il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana lo ricevette come
imprenditore, ma lui, immedesimato nel nuovo ruolo, lo utilizzò, emulo di
D’inzeo, per saltare tutti gli ostacoli che
incontrava sulla strada del suo progetto di democrazia repubblicana, basata
sulla elargizione di “spaghetti” a go-go a tutti coloro che lo favorirono nella
conquista del potere economico prima e di quello politico dopo.
Tutti i miracolati per “spaghetti ricevuti”, sostenuti dal
loro parentado sono proni a carponi per impedire che “la caduta” del rais sia
proprio rovinosa, proprio come i repubblichini, che non esitarono a sopprimere
paesani, conoscenti, amici e, persino, parenti loro avversari politici di ogni
età e sesso insieme alle famigerate SS durante la loro ritirata dai fronti di
guerra, pur di tenere in piedi il Dux.
Un grand’uomo di alto profilo politico, coordinatore PDL,
allerta le Berlutruppen, pronte a immolarsi in un cruento confronto civile se
il Silvio Nazionale non viene almeno graziato motu proprio dal
Presidente della Repubblica.
Un bass’uomo, anch’esso di alto profilo politico, non più
alto del fondoschiena del suo padrone,
perfettamente adatto al ruolo di culumlinguas, piange.
Una popputa pasionaria linguacciuta, membro del
Gran Consiglio Ristretto, avverte gli italiani che 200 e più parlamentari sono
già virtualmente dimessi, motivo per cui governo e parlamento sono bloccati
sino a gratia decretata.
Penso a Bruno De Martino che canterebbe: “E ci chiamano
spaghetti...”.
E’ risaputo che in Italia è stato creato il più buon
prodotto gastronomico del mondo, gli spaghetti c’’a pummarola ‘n coppa,
ma il mondo, ingrato, ne utilizza l’emblema per identificare l’italiano
inattendibile, voltagabbana, truffaldino: non colgo l’equazione! Che c’azzecca direbbe il buon Di Pietro!
Ma so che quando con sprezzo ci chiamano spaghetti certo non
si riferiscono al piatto universalmente preferito (che ipocriti!) ma forse al
loro potere seducente...di cottura al dente in passata di pomodoro che
sconcerta le coscienze, obnubila i sensi e i sentimenti e ti fa credere una
cosa per l’altra.
In effetti gli italiani non hanno ancora capito cosa vuol
dire democrazia o, meglio, democrazia liberale, perché obnubilati dal profumo
degli spaghetti (col pomodoro, s’intende) identificano tutte le priorità, tutte
le urgenze con gli spaghetti stessi. Come dire, come s’è detto e come
usualmente si dice, basta che si magna e tuttu è bonu e benedittu.
Direi, quindi, che la declassazione a Repubblica degli
Spaghetti, ce la meritiamo ampiamente perché sottende il popolo dei magna-magna, ovvero quel popolo che,
orfano di Benito, c’ha provato ancora con Silvio, che qualunque cosa dicesse in
realtà voleva dire: magnate pure, ma fate magnà (e trombà) prima a me!
Molti italiani, forse un terzo dell’elettorato, fanno finta
di non vedere le birichinate del loro leader propria in forza di questo
semplice ragionamento: lasciar fare per liberamente fare, cioè magna,
ma fai magnà!
E’ dai tempi di Benito che certi italiani sfruttano
l’occasione. Non a caso i più inossidabili collaboratori del duce furono graziati
da amnistia generale e reinseriti mimetizzati nella neonata Repubblica Italiana,
mentre i più ondivaghi furono assassinati dai suoi accoliti, come Italo Balbo,
Galeazzo e Costanzo Ciano, Pareschi, Gottardi, Cianetti e Marinelli.
In altre parole è dimostrato che non agitarsi troppo fai
mangiare e mangi spaghetti anche tu.
Quei seicento, giovani e forti, suppongo quasi tutti parenti
e conoscenti dei 200 parlamentari PDL, che stanziati in Via Plebiscito
acclamavano a squarciagola il Silvio Nazionale con l’Inno di Mameli fanno tanta
tristezza per la miseria intellettuale e intellettiva che li accumunò nel
tripudio fideistico allorché Berlusconi affermò: “Sono innocente! Io non
mollo”.
Qualunque ragionevole persona, dopo ben tre gradi di giudizio,
non può non domandarsi quale serio motivo deve esserci se decine di magistrati, di varia età, di
diverso radicamento territoriale, provenienti da latitudini giudiziarie
diverse, decretano che Berlusconi è colpevole del reato ascrittogli.
Confesso di aver creduto all’imprenditore che si fa politico
per rivoluzionare l’andazzo tutto italiano rivelato da “Mani Pulite” ma
cominciai a dubitare quando il ritornello del complotto comunista divenne il
tormentone della fine degli anni novanta che incantava i gonzi.
Ma quando ebbi modo di leggere documenti giudiziari
pubblicati dall’editoria quotidiana internazionale cominciai a farmi qualche
domanda e poi a mettere in discussione la mia scelta elettorale.
Ovunque Berlusconi ha stanziato si è circondato di fedelissimi
cretini, opportunisti, leccaculi, prostitute di mestiere e di tendenza,
arruffoni, papponi, criminali, pennivendoli, insomma ciò che maggiormente offre
la società civile di ora e allora, gente che per un “piattino di spaghetti”
prostituiscono mogli e figli per accontentare il minotauro di Arcore.
Alcuni, dopo anni di militanza nel PCI, alfieri di quel
comunismo protoromantico che non ebbe mai inizio, ché approdò subito come
spiaggiato in un continente che ne fece strumento di vendette e giustizia sommaria,
alcuni di questi militanti da tempo hanno cambiato casacca perché fascinati da
questo piccolo-grande uomo che ha le mani impastate nel torbidume di affari
sporchi e criminali.
Il suo proposito di combattere il comunismo fa presa perché
il signor qualunque pensa a Stalin, Mao, Pol Pot, Castro e compagni, ma ignora
Gramsci, Rosselli, Rossi e tanti altri martiri civili che non hanno potuto
dimostrare che il Comunismo è un nobile e umanistico concetto di società libera ma regolata da
leggi di tutela dell’uomo che aspira alla giustizia e all’equilibrio sociale.
Una società libera e sodale non deve avere poveri da
blandire con speranze ultraterrene, non deve avere disoccupati che vogliono
lavorare e non trovano lavoro perché o sono troppo giovani o sono troppo
vecchi, non deve avere sfrattati che non possono pagare affitti del così detto "mercato
libero", donne che si prostituiscono perché incrociano i loro destini con
prosseneti sostanzialmente impuniti, preti che encomiabilmente organizzano
mense, ricoveri, case di riposo, scuole, pellegrinaggi perché lo Stato è
assente.
Uno Stato è l’astratto toponimo di un accordo equo tra
cittadini che si assistono vicendevolmente e riconoscono il valore individuale
non con il peso della ricchezza accumulata, ma con l’analisi del bene comune
apportato.
Tutto ciò per dire che l’anticomunismo viscerale di
Berlusconi è il sottoprodotto di un uomo vocato alla violazione delle regole, un uomo
che reclama rispetto e rimozione dell' intenzione di comprendere come il
figlio di un impiegato di banca abbia potuto diventare uno dei dieci uomini più
ricchi d’italia.
Ma ciò è accaduto in una repubblica che per questo e tanti altri motivi oggi non può che chiamarsi REPUBBLICA DEGLI SPAGHETTI!
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