venerdì 14 marzo 2008

SONO SERENO. HO FIDUCIA NELLA MAGISTRATURA…

Non conto più le volte che ho sentito questo pronunciamento, spesso colto sulla bocca di spudorati personaggi che – vox populi – erano nella merda fino e oltre il mento.
Se è vero che ogni medaglia ha il suo rovescio, la medaglia della giustizia non fa eccezione.
Pietro Valpreda, Enzo Tortora sono i nomi dei primi due personaggi che mi vengono in mente, vittime della malagiustizia che, ad oggi coinvolge, potenzialmente, non meno di cinquanta milioni di persone su nove milioni di cause civili e penali in pendenza.
Un esempio eclatante. Il tribunale di Napoli per giungere al rinvio a giudizio della cricca responsabile del massacro ecologico della Campania ha impiegato ben cinque anni! Altri dieci ce ne vogliono per arrivare all’ultimo grado di giudizio. I colpevoli, se non vengono assolti in uno dei tanti modi di cui è capace di inventarsi la politica ( prescrizione, obsolescenza della legge, limiti di età ) comunque non pagheranno il fio delle loro colpe.
La vera verità è che lo Stato di Diritto è morto! Morto assassinato dall’ignavia di gran parte del mondo della magistratura, dalle tortuosità e cavillosità procedurali, dall’avidità della maggior parte dei procuratori legali, dalla insanabile litigiosità dei contendenti, da politici impegnati a contrastare il corso della giustizia, ovvero da una associazione per delinquere di legulei, mezzemaniche e sfaticati di tutti i livelli del corpo giudiziario che prospera sempre più alla faccia di coloro che hanno sacrificato perfino la vita per onorare la Giustizia!
Ma perché, direte voi, me la prendo tanto a cuore? Vi rispondo subito, con un’altra domanda. Secondo Voi quanto tempo occorre per stilare una sentenza? Un mese? sei mesi?, un anno?, due anni?
E voi non vi incazzereste ferocemente nel sapere che c’è un magistrato fannullone a cui non sono bastati ben otto anni per scrivere una sentenza, determinando la messa in libertà di pericolosi malviventi? E non vi incazzereste ancora di più nel sapere che questo, si fa per dire, signore è ancora al suo posto, grazie all’acquiescenza del CSM, che l’ha bacchettato anziché licenziarlo in tronco come si fa con qualunque altro dipendente che non compie il proprio dovere. La notizia:
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Mafia: niente sentenza dopo 8 anni dal processo, boss in libertà
Inviato da Fabio Fabiano
martedì 11 marzo 2008
16:35:59 (ITALPRESS) - Un giudice, dopo circa otto anni, non deposita la sentenza in un processo di mafia e cosi' i boss invece di trovarsi in carcere sono in liberta'. Accade a Gela, in provincia di Caltanissetta. Nel maggio del 2000 vennero condannati in primo grado quattro esponenti di primo piano di Cosa nostra: a 24 anni di reclusione Giuseppe Lombardo e Carmelo Barbieri; a 10 e 8 mesi Maria Stella Madonia e Giovanna Santoro, rispettivamente sorella e moglie del boss ergastolano Piddu Madonia. Il giudice Edi Pinatto avrebbe dovuto pubblicare i motivi della sentenza tre mesi dopo il pronunciamento ma ancora non lo ha fatto. Cosi' nel 2002 i quattro presunti mafiosi, insieme a quattro favoreggiatori condannati a pene minori, sono stati scarcerati per scadenza dei termini di custodia cautelare. Nel frattempo il magistrato ha ottenuto il trasferimento dal Tribunale di Gela alla Procura di Milano. A nulla sono valsi i provvedimenti disciplinari del Csm, con la perdita di 26 mesi di anzianita'.
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E’ stato minacciato di morte? Teme per la sua incolumità? Non mi è dato di saperlo. So però chi è, ma non immaginavo che potesse avere anche la faccia di bronzo. Francesco Viviano, l’11 marzo scorso, scrive:
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MILANO - Due mafiosi condannati otto anni fa a 24 anni di reclusione ciascuno, la moglie del boss Piddu Madonia condannata a 8 anni di reclusione e altri quattro favoreggiatori di Cosa nostra condannati a pene minori, sono liberi da 6 anni perché il giudice che emise la sentenza, Edi Pinatto non ne ha ancora scritto le motivazioni. È un record, s'intende negativo, della giustizia italiana che ancora oggi rimane tale e che fa gridare allo scandalo il sindaco di Gela, Rosario Crocetta, che si è rivolto al ministero della Giustizia: "Non si può - dice - consentire che in uno Stato democratico basato sul diritto, lo Stato condanni ed un magistrato, a distanza di quasi otto anni non depositi una sentenza per cui un intero clan mafioso è in libertà e gira tranquillo per la mia città".
Edi Pinatto, 42 anni, da sette, da quando ha lasciato Gela, è pubblico ministero alla procura di Milano. La sua stanza è al quinto piano, la numero 512 e lui è quasi sempre presente, non si è mai assentato eppure, nonostante siano trascorsi esattamente 7 anni, 8 mesi e 18 giorni, non è riuscito a scrivere le motivazioni di quella condanna. "Perché vuole sapere di questa sentenza? Io non posso parlare di cose di lavoro con i giornalisti", è la sua prima reazione. E quando obiettiamo che non si tratta di rivelare segreti relativi ad inchieste in corso e che chiediamo di sapere perché tanto ritardo, Pinatto abbassa il volume della radio che trasmette brani di musica jazz e risponde serafico: "Guardi, io non posso proprio dire nulla, se vuole ne parliamo dopo, quando finirò di scrivere la sentenza". Ma intanto sa che quei due mafiosi condannati, così come la moglie del boss Piddu Madonia, sono liberi? "Sì lo so, ma non è la prima volta, non sono il solo a metterci tanto tempo. Le scriverò fra alcuni mesi, appena smaltirò questi fascicoli che lei vede sul mio tavolo, e solo allora potremmo parlarne. Adesso mi lasci lavorare".
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Se il dr. Edi Pinatto smettesse di lavorare sarebbe meglio per tutti, visto che il suo impegno produce queste perle. Viene il sospetto che egli abbia un personale interesse a non far eseguire la sentenza. Forse si sarà accorto di aver commesso un errore e non lo vuole ammettere, facendone quindi due.
Fare il pagliaccio, come me, non è dai più ritenuto un mestiere, eppure il pagliaccio può far ridere a crepapelle lenendo le afflizioni, oppure può far commuovere e ricondurre lo spettatore alla sua autentica dimensione umana, compiendo per certuni una impagabile fatica e meritando un obolo.
Ma quando un uomo delle istituzioni, pagato per difendere le istituzioni, pagato per irrorare sanzioni e pene ai fini di giustizia, si toglie la maschera di magistrato e rivela il suo vero essere buffone che non fa sorridere, che non fa commuovere, bensì ingenera in chi chiedeva giustizia il terrore della vendetta, quest’uomo deve essere disarcionato dallo scranno di giudice, poiché giudice non è, processato, condannato e degradato con disonore, come si conviene agli ominicchi.
Il solo pensiero che nel corpo della magistratura possano agire personaggi del genere senza che li si possa rimuovere vuol dire una sola cosa delle due: o si è impotenti oppure si è indifferenti.
Quindi io dico, a ragione, non ho fiducia nella magistratura italiana e non sono sereno.

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